L’Unione di chi si accontenta
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Grigio il meteo. Grigia la partita. Grigia l’Unione e grigi gli avversari. Grigi i nostri umori, quelli di chi, fino a poche settimane fa, credevano possibile un’impresa, un sogno, la speranza che lottando assieme si potesse veramente raggiungere ogni traguardo. Invece, dopo oggi, è talmente evidente l’inconsistenza delle nostre chimere che persino ambire ad un futuro diverso diventa un mero gioco di pura fantasia, dove il calcio ed i suoi logaritmi appaiono semplicemente come parole al vento. Perché se veramente volete provare a raccontarci che questa squadra si sia rafforzata a gennaio, se realmente credete che ora, dopo il sacrificio del nostro uomo simbolo, il VeneziaMestre sia migliorato, abbia più alternative in fase offensiva, o sia più coerente con l’idea di gioco del mister, ci state prendendo per deficienti. Io non ho la presunzione di raccontare il mondo del pallone, talmente bello ed interpretabile che ognuno può trovare la propria versione delle cose, il proprio racconto. Ma questa è semplicemente una storia che non sta in piedi, è un’Unione che in 90 e passa minuti non riesce a creare una singola occasione di rete, che lotta, si arrabatta, combatte, ma che non ha evidentemente le armi per andare a prendersi quei punti che tanto servirebbero. E si comprende pure uno stadio che fischia la naturale quanto inevitabile contestazione della curva poiché poco abituato a giornate del genere, in cui il palcoscenico è elevato e le luci più splendenti. Senza capire però, che questa stagione è un fugace attimo di gloria se poi dietro non c’è sostanza, non c’è programmazione, non c’è futuro. Una società che da mesi parla di soci in ingresso, di iniezioni di capitali, di uomini immagine, ma che poi ci fa giocare con una formazione del genere in cui, dopo un mese e passa di calcio mercato, ci si presenta con un ragazzino centravanti (e che merita, forza di cose, una chance) uno Yeboah eterno incompiuto, un centrocampo all’incrocio esatto tra la parallela della mediocrità e la meridiana dell’incompiutezza, ed una difesa girata e voltata come un calzino che però, alla fine, dimostra addirittura meno solidità ed esperienza di come si era partiti. Questo è. E va bene così. Per chi si accontenta. Per chi tutto sommato ha deciso che questa è una stagione jolly, buona per qualche selfie ed una rivalsa sui social con amici lontani. Per una sciarpa bicolore per ricordarsi l’incredibile ed imperdibile evento del VeneziaMestre in serie A… Buona per chi da quest’anno ha scoperto di avere una squadra tifabile anche all’interno del proprio comune, per chi vede la prima compagine del suo cuore vivere anni difficili alla ricerca dello scudetto. Ma non va bene per noi. Per chi ha vissuto la serie D fino in fondo, per chi ha pianto vedendo l’Unione trionfare contro la Cremonese solo pochi mesi fa. Per chi di questi colori ne ha fatto una ragione di vita, un’ideale che non si svende per pochi mesi di “grande calcio”. Per chi ha sognato per decenni di vivere la serie A, di confrontarsi con Roma, Inter, Juve e via così. Per chi non ha paura di perdere questa dirigenza perché “la migliore degli ultimi decenni”o perché “chissà dopo chi ci comprerà”. Questa gente che non ha mai chiesto una rosa da Champions League, ma una squadra con un senso logico, con un mister che ci credesse fino alla fine, che sognasse di poter competere ad armi pari in una categoria tanto misteriosa. Ed invece ci avete dato questo, un gruppo di ragazzi che lottano contro i mulini a vento, contro arbitri che non vedono l’ora di punirci alla prima occasione, regalando agli avversari una comoda vittoria. Ci avete pure condannato ad una curva apatica, disillusa, stanca, senza nemmeno quella spinta che avremmo quantomeno meritato pagando 50 euro di biglietto. Perché quando estirpi l’anima da una squadra, non puoi aspettarti che la gente ti segua, se non quelli che alla domenica hanno ben poco altro da fare. E spero tanto che lo abbiate considerato, che nel vostro business plan fosse previsto questo abbandono dell’entusiasmo, che nel futuro abbiate pianificato quando e come riconquistarci. Perché altrimenti avreste sprecato l’ennesima occasione di fare vostra questa città, di andarvi a prendere un popolo che non aspettava altro che farsi ammaliare, facendosi toccare nelle corde della passione, dell’orgoglio, dell’’unità. Tutto ciò che avete scelto di ignorare pensando che i soldi ed i guadagni arrivassero esclusivamente usando il nome delle nostra città. Eh mi dispiace. Ma in questo paese, il calcio ha bisogno di più impegno. Ha bisogno che si ascolti l’umore della piazza. Venezia non è Bari, Parma non è Firenze, Verona non è Palermo. Ogni realtà va compresa, corteggiata, ammaliata e consolata. Altrimenti il rischio è che il campo sia l’unico giudice del vostro risultato. E, credetemi, al momento non è granché.
Avanti Unione.